martedì 7 ottobre 2008

Il nucleare? Col greggio sopra i 65 dollari

Conviene — da un punto di vista solo economico — che l'Italia rientri nell'energia nucleare? Probabilmente sì. Ma la risposta diventa «sicuramente sì» solo se il prezzo del barile di greggio tornerà ad essere elevato, intorno ai 130 dollari, e se quello della tonnellata di anidride carbonica sorpasserà i 40 euro contro i 20-25 di oggi. Gli investitori privati dovranno però anche essere disposti a finanziare l'operazione fino al 50% del totale.A questi risultati arriva uno studio del Cesi Ricerca, la società pubblico-privata di Enea e Cesi, che entra così nel vivo delle questioni sollevate dal piano del governo. Una delle conclusioni risulta comunque ai limiti del paradosso: anche dando il via ora a quattro centrali, e spingendo a tavoletta sulle energie rinnovabili e il carbone pulito (quello vero, con il «sequestro» della CO2), l'Italia potrebbe non centrare gli obiettivi ambientali previsti dall'Europa per il 2020, vedendosi costretta a intervenire sui suoi consumi elettrici. A quella data, infatti, il contributo nucleare non potrà che essere modesto, considerati i tempi per la costruzione e l'operatività di un reattore.Secondo il Cesi Ricerca, un megawattora prodotto da una centrale nucleare di terza generazione (come l'Epr) costerà 68 euro, contro i 130 euro di un impianto a gas e i 100 circa del carbone. Tra le assunzioni di base c'è quella del prezzo del petrolio, che al 2020 è stato stimato a 130 dollari al barile, e del prezzo della CO2, fissato a 42 euro. Anche per l'uranio si è tenuto comunque conto di una quotazione elevata, superiore del 20% al picco più elevato raggiunto lo scorso anno (300 dollari per un chilogrammo).Ma anche dimezzando il valore del petrolio e delle emissioni, dice il Cesi, l'elettricità «atomica » potrebbe valere il gioco: con il barile a 65 dollari e l'anidride carbonica a 20 euro il megawattora nucleare resterebbe, ovviamente, a 68 euro. Quello a metano scenderebbe però a 74 euro, mentre il carbone giungerebbe a oscillare tra 60 e 65. I ricercatori del Cesi Ricerca sono prudenti anche sul fronte del finanziamento dei progetti. Data la scarsa «accettabilità sociale» del nucleare e la presumibile «scarsità » di fondi, si ipotizza che il finanziamento debba avvenire fifty-fifty tra capitale di rischio (remunerato al 12%) e debito bancario (al 7% di interesse). Solo se i privati accettassero di rinunciare al profitto, ricevendo in cambio energia al costo come avviene in Finlandia, le cose potrebbero cambiare in modo significativo.Infine, si tratterebbe di decidere che cosa è meglio evitare. L'energia di quattro reattori avrebbe sulla riduzione di CO2 lo stesso impatto di una foresta grande due volte il Lazio, e eviterebbe il consumo di 9 miliardi di metri cubi di gas l'anno, tanti quanti ne trasporta il gasdotto dalla Libia. D'altra parte significherebbe la produzione di 30-40 metri di problematici rifiuti solidi a alta radioattività (il volume di una stanza) e di una palazzina di due piani di scarti a media e bassa radioattività da sistemare in un sito finora incognito. Per «sequestrare » geologicamente la CO2 ci vorrebbe invece un deposito grande quanto 80 «Pirelloni » di Milano. Scelte che prima o poi andranno affrontate. (Dal Corriere della Sera)

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