giovedì 23 ottobre 2008

Chi ha paura della CO2?

LUIGI MARIANI, Università degli Studi di Milano, per Il Sole 24 Ore

U na riflessione non ideologica sul cambiamento climatico non può prescindere dal grafico delle temperature globali desunto da osservazioni da satellite (sensore Uah-Msu – fonte: Università dell'Alabama – Huntsville), da cui emerge che la fase di "global warming", iniziata nel 1992, si è conclusa nel 1998, anno più caldo in assoluto con 14,5 ÚC. Da allora le temperature globali alternano stazionarietà a lievi cali, tanto che con ogni probabilità il 2008 si chiuderà con un 14,0 ÚC. Alla luce di ciò occorre domandarsi il perché di quel Nobel per la pace 2007 a Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) e Al Gore, mentre ancora si deve riflettere sulla campagna di demonizzazione della CO 2 , oggi trattata come inquinante mentre al contrario è un mattone essenziale della vita sul nostro pianeta in quanto le piante la usano per produrre alimenti attraverso la fotosintesi.Partiamo allora dalla vexata quaestio della CO 2 , affrontandola per una volta senza il paraocchi del politically correct: e sulla Terra esiste da miliardi di anni un meraviglioso fenomeno, l'«effetto serra» in virtù del quale la temperatura di superficie passa da un glaciale -19 ÚC a un più confortevole +14 ÚC. Ciò si deve al fatto che la superficie è riscaldata non solo dal sole ma anche dall'atmosfera; r il riscaldamento della superficie da parte dell'atmosfera è dovuto per il 79% all'acqua (che agisce per il 55% come vapore acqueo e per il 24% come nubi), per il 14% alla CO 2 e per l'8% agli altri gas serra; t se la CO 2 è azionista di minoranza dell'effetto serra, il contributo termico diretto derivante dal raddoppio del suo livello (560 ppmv, attesi per il 2050) rispetto al livello del 1880 (280 ppmv) sarà di +0,84 ÚC rispetto al 1880 e di soli +0,47 ÚC rispetto a oggi. Gli aumenti assai più robusti (+4/+6 ÚC) preconizzati da Ipcc sono basati sulla "scommessa" secondo cui l'aumento di CO 2 in atmosfera provocherà una retroazione (feedback) dell'azionista di maggioranza (l'acqua) che dovrebbe sostanziarsi in aumento del vapore acqueo e in una contemporanea modificazione della nuvolosità globale. Tale scommessa, che appariva vincente fino al 1998, ha iniziato in seguito a mostrare limiti vistosi poiché la CO 2 continua a salire ma le temperature globali non salgono più.A fronte di tale realtà veniamo allora alle possibili ricette: se la catastrofe climatica non è dietro l'angolo e la CO 2 è un alimento per le piante, per stabilizzare il contenuto atmosferico di quest'ultima occorre far lavorare meglio le piante, il che si ottiene con una seria e perseverante politica di gestione delle risorse idriche in agricoltura, in quanto piante assetate non assorbono CO 2 . Da qui anche l'idea secondo cui politiche di «lotta all'effetto serra» basate unicamente sui «tagli della CO 2 alla produzione » sono scarsamente efficaci e poco lungimiranti.Ciò è a maggior ragione vero per l'Italia, Paese arretrato nelle politiche di diversificazione delle fonti energetiche, che andrebbe invece perseguita con costanza puntando su un mix di fonti (fossile, nucleare, geotermico, solare, eolico, idrico, biomasse eccetera). È inoltre essenziale che le varie fonti siano promosse a seguito di una quantificazione dell'efficienza energetica prima ancora che economica, nel senso che è necessario valutare quanta energia si immette in un processo e quanta se ne ricava.In altri termini si deve fare un passo avanti rispetto a «solare è bello» o «eolico è bello» valutando quanto costi in termini energetici produrre, gestire e poi smaltire i generatori e se l'energia prodotta nel loro ciclo di vita giustifichi l'investimento. In tal senso è oggi più che mai necessario evitare i voli pindarici alla Geremia Rifkin, troppo infarciti di «battaglie per la difesa del clima», «terze rivoluzioni industriali» ed «economie dell'idrogeno» per essere credibili.In conclusione piantiamola con gli slogan, stiamo con i piedi per terra e diamo lavoro ai tecnici, non agli ideologi.

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